Criteri di trascrizione

Partendo dal principio di base secondo cui il grafema è l'unità più piccola del sistema grafico (Sánchez-Prieto Borja 1988: 77), nella trascrizione dei manoscritti proposta in questa sede situeremo il limite a livello dei grafemi, evitando di rappresentare nel testo allografi che non corrispondono alle diverse configurazioni sul piano fonico. Si è rinunciato anche a tutti quei tratti non grafemici, benché siano caratteristici dei diversi codici, quali il prolungamento di alcune lettere o elementi utilizzati dal copista per completare il riquadro di scrittura. Non vengono nemmeno riprodotte le numerose linee verticali che, nel Cancioneiro da Ajuda e con un materiale simile alla matita, segnano la fine dei versi e che non sempre sono state sostituite dal corrispondente punto in inchiostro.
 
I criteri di presentazione del testo seguiti sono quelli di seguito spiegati:

1. Abbreviazioni. Le abbreviazioni non vengono sviluppate, in quanto riteniamo che la loro risoluzione, anche se indicata in corsivo, “non soddisfa pienamente il requisito di coerenza critica nella trascrizione paleografica” (Sánchez-Prieto Borja 1988: 91). Dopo aver valutato le caratteristiche dei testi, questo criterio ci obbliga a distinguere tra i segni che rappresentano una vera e propria abbreviazione e quelli che hanno un carattere espletivo (Sánchez-Prieto Borja 1988: 93, n. 11), come il punto che corona la y che Henry H. Carter (2007 [1941]), nella sua trascrizione di A, segna sistematicamente come <y>, solo per citare solo un esempio. Poiché questo elemento aveva originariamente una finalità diacritica, non sarà riprodotto nella trascrizione.
 
Per quanto riguarda il posto occupato dalle abbreviazioni, occorre tenere presente che la tilde di nasalizzazione o il segno di abbreviazione si trascrive generalmente sopra l'elemento su cui appare sovrapposto nel manoscritto. In alcuni casi, l'abbreviazione che inizia con un determinato grafema viene spostata a destra: in questo caso la posizioniamo sul primo elemento della sua scrittura.

Molte abbreviazioni sono state realizzate mettendo sulla grafia iniziale della sillaba abbreviata una delle lettere della parte omessa, a volte con un tratto schematico che ricorda solo vagamente la grafia originale. In questo caso trascriviamo la lettera corrispondente, di solito le vocali <e, i> e la consonante < r>, scritta a destra della grafia base dell’abbreviazione (es.: qis > quis, melh> melhor).

Per quanto riguarda invece la varietà di forme che presentano i segni abbreviativi, tutti provenienti dal sistema latino, la loro morfologia varia non solo a seconda dei canzonieri e del tipo di lettera utilizzata, ma anche a seconda dei copisti e persino di un singolo copista. È stato quindi necessario uniformare tutta questa variazione grafica allo scopo di ridurre a un unico segno convenzionale ciascuno dei valori rappresentati nei manoscritti da segni abbreviati che, in ultima analisi, rimandano a un'origine e a un valore comune, ma che, in termini di materialità grafica, hanno adottato forme diverse. Un numero limitato di segni disponibili nelle fonti informatiche è sufficiente a rappresentare, mediante caratteri convenzionali, l'intera molteplicità delle abbreviazioni e, allo stesso tempo, consente di preservare l’informazione paleografica rilevante. 
 
Si usa quindi il trattino sopra le vocali per indicarne la nasalità o l’abbreviazione della consonante nasale implosiva (es. : hūa > ūa, bē > ben); si utilizza il trattino anche per rappresentare il tratto, soprattutto orizzontale, 1con valore generale di abbreviazione (es. : q̄ > que¸ds̄ > deus, soƀ > sobre, tr̄ra > terra).
I diversi tratti orizzontali curvi e ondulati che rappresentano una vocale seguita, e meno frequentemente preceduta dalla r, con valori ar, -er, ‑ir-ir, -ro, ‑or, ‑ur, ‑ra, -re ..., sono riprodotti come <  ̃> (es.. : t̃stura > tristura, m̃te > morte etc.)2.

L’abbreviazione simile a una a aperta, che rimanda alla a visigota, utilizzata con le consonanti « g » e « q » con valore di -ua e, in misura molto minore, di -a, è trascritta come <W> (es. mingʷ > mingua, pagwr > pagar, logwr > logar, qwl > qual)3. Questo stesso segno di abbreviazione, che ricorre con leggere variazioni grafiche di tratti ravvicinati, può avere anche il valore di -ra, -ar, -uar; in questo caso si mantiene la trascrizione<w> in Ajuda, mentre si trascrive con <  ̃ > in BV (es: dout͂ > doutra, p̃zer > prazer, rog̃ > rogar, g̃dar > guardar).
 
Il segno di abbreviazione con il valore di -er, -re, -ir, la cui forma varia da una virgola a un tratto verticale a zig-zag che ricorda un “fulmine”, viene trascritta con <’> (es. : faz’ > fazer, semp’ > sempre etc.).
 
L’elemento che rappresenta i valori ‑os, ‑us viene trascritto con<ꝯ> ; il segno tironiano per la copula viene segnato da <ꞇ>; per le diverse abbreviature in cui interviene la « p », sono stati utilizzati i seguenti elementi : <p̄> por, per, pre, <ꝑ> per, <ꝓ> pro ; al tempo stesso, si usa <ƥ> per ser ; infine, si usa <ꝝ> per la rara comparsa dell’abbreviazione run, -ron
 
2. Grafie, unione e separazione di parole, punteggiatura. Rispetto all’ortografia, si riflettono nella trascrizione tutte le peculiarità dei manoscritti, compresa la duplicazione dei grafemi. Per le maiuscole e le minuscole, si rispetta l’uso dei codici. Per quanto concerne l’unione e la separazione delle parole, si conservano le loro sequenze grafiche; tuttavia è opportuno tener presente che spesso è molto difficile contrapporre lo spazio alla sua assenza, per cui in alcuni casi la decisione presa può essere discutibile. Nelle forme o sequenze che iniziano con lettere maiuscole o decorate, quando gli elementi del vocabolo appaiono leggermente separati nel codice, li abbiamo mantenuti uniti (e viceversa). Va osservato che, in questi casi, la separazione o l'unione è dovuta al tratto della maiuscola disegnata e al suo adattarsi al testo.
 
Per quanto riguarda i segni di punteggiatura, il punto si trascrive dopo l'elemento verbale precedente, senza spazi in bianco anteriori e lasciando uno spazio prima della parola successiva.
 
Infine, utilizziamo una serie di elementi convenzionali della prassi editoriale usati per riflettere alcune caratteristiche della copia:
 
  • il foglio è indicato con l’abbreviazione f., accompagnata dal numero corrispondente e dall'indicazione recto [f. 1r] o verso [f. 1v]. Alle colonne ci si riferisce con le lettere a e b [col. a], [col. b].
  • i segmenti cancellati con formule diverse (cancellature, punto o eliminazione con tratti di penna) sono racchiusi tra parentesi tonde (...).
  • le aggiunte interlineari sono indicate tra \.../; nel caso di A, quelle poste al margine dei versi e contemporanee alla copia, se sono state fatte dal revisore sono trascritte tra {...}, e tra ‹...› se sono state fatte dal correttore (cfr. Pedro 2016 [2004]). Qualora i responsabili dell'inserimento di questi elementi non fossero chiaramente identificabili, saranno trascritti senza segni nel margine corrispondente. Le note tardive si trovano a piè di pagina.
  • anche in A, nelle lettere maiuscole e minuscole quando è stata annotata una lettera di attesa, quest'ultima sarà trascritta tra parentesi quadre: [A]; quando invece manca questa nota tecnica verrà indicata con [...].

Da ultimo, come criterio che dovrebbe prevalere per qualsiasi trascrizione paleografica, ci limiteremo a riprodurre il testo così come appare nei manoscritti, con tutti i suoi errori, riservando le correzioni all'edizione critica. In una nota a piè di pagina, si offrono tutti i commenti ritenuti opportuni circa le letture incerte, le peculiarità del supporto di scrittura o qualsiasi altro tipo di dubbio.
  1. ^

    Nella trascrizione di A, utilizziamo un tratto diverso, perché invece di essere ondulato, è piuttosto « spigoloso » es: faz᷈ˆ > fazer).

  2. ^

    E molto raramente con altre consonanti: matwr> matar.